Teo

Primavera

Teo raccoglie sul capo i capelli inumiditi dalla fatica del sesso e osserva il suo riflesso, avvolto nelle tende lisce di seta. Ritto, pavoneggia il petto, e lasciate le mani in una posa fanciullina oltre l’articolazione del polso, accarezza le labbra per arrossirle. Espira lo sgomento in un’onta sullo specchio quando, in una piroetta, avvicina le ginocchia con una grazia desueta, che ricerca, smania. Accenna un sorriso immobile come in eterno, se non per quel tremolio del mento che tanto pare propizio al pianto. Dalla finestra si odono d’un tratto dolci le acque dello stagno nella conca bruna che scorre in un fiume sino alle pianure e le felci di spore. Il vento, oltre i rami seminudi, muove la Luna sulle soglie della notte tra le nuvole livide di pioggia, al canto dei merli, ora più acuto, ora più roco. Gocce tiepide e rade scivolano dalle sue guance rase sul collo di Nuccio, a farsi merlo perché non si accorga di quei singhiozzi.
“Non voglio piangere. Gli ominicchi piangono.”
Nuccio tace, quasi inorgoglito da quella confessione, e sente quel narcisismo essere la perversione più sincera che gli abbiano mai condiviso. Di tutte le forme naturali intorno, quel volto corrucciato lasciava intravedere una primavera appena compiuta nel silenzio.