Antonello

L’idea del bello

Si dice che non sia possibile specchiarsi e vedersi per come si è realmente a causa di un difetto nella percezione dell’occhio, ma gli specchi conoscono la verità dei corpi e non la nascondono.
“Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”
La verità d’uno specchio a cui era stata concessa la facoltà di parlare, costò la vita di una giovane principessa dalla pelle bianca come la neve e le labbra rosse come il sangue. Perché, allora, continuare ad accusare gli occhi, non la bocca o le parole? Se soltanto Biancaneve si fosse limitata a guardare quella mela, la sua morte non sarebbe mai avvenuta e non ci sarebbe stato motivo di scomodare un principe per trarla in salvo. Quando Nuccio chiedeva perché Biancaneve non avesse rivelato a nessuno il segreto del Paradiso, sua madre, per evitare la domanda, modificava di tanto in tanto un particolare, per i sette nani che una notte erano diventati sei e un’altra notte ancora i protagonisti della fiaba, ma il lieto fine rimaneva sempre lo stesso. Compreso che il cambiamento spetta a ognuno di noi, Nuccio aveva inventato per sé un lieto fine e si era impegnato perché la trama procedesse nel verso giusto, ma adesso che non riesce più a ricordarlo, entra in biblioteca alla ricerca d’ispirazione. Le librerie a muro lo circondano nel colore delle copertine che è un sottofondo muto di luci gialle sulle teste di Ada e Antonello, chini a leggerli, mentre, attenti a evidenziare ogni riga per non cedere alla tentazione delle notifiche sul cellulare, si sorprendono per una nota a pie’ di pagina che li compiace a loro insaputa sino alla fine del capitolo. Nuccio si siede accanto non appena gli fanno un cenno per sfogliare insieme il brogliaccio su cui Antonello ha disegnato i primi ritratti dell’anno e, tra gli ultimi, gli indicano quello d’un viso squadrato sul naso pronunciato che è il suo, ma in un modo così nuovo da renderlo quasi irriconoscibile. Ripassate con un pennarello più scuro sul contorno degli occhi, le linee tratteggiate enfatizzano uno sguardo imbarazzato così simile a quello di suo padre, da sembrargli spesso perfino sulle labbra carnose di sua madre. Non credeva di somigliargli e, nel fingere indifferenza, si protrae all’ombra delle mensole accanto per scacciarsi di dosso quella somiglianza spiacevole di cui, però, lascia intendere quanto se ne compiaccia il sorriso.
”E Anna? Mi ha detto che la scorsa settimana avete finito prima perché eri stanco e non riuscivi più a disegnare.”
Antonello gli imita l’imbarazzo nell’indicare gli abbozzi che la ritraggono adesso frontale e coperta da un panneggio sino alle gambe, adesso nel puro contorno del profilo, adesso stesa su un fianco nei capelli sciolti lungo un orecchino di perle pendente sulla spalla. Un abbozzo segue l’altro in linee imprecise come quelle di nessun altro ritratto e in simmetrie che stentano a ricordarla per l’ossessività delle angolature. Nuccio vorrebbe dirgli che i polsi e le caviglie di Anna sono più fini di così, e le clavicole più pronunciate, ma il timore di rendergli un’offesa fa sì che resti in silenzio e sia Ada a intervenire.
”Hai disegnato tutti per come l’immagini, dovresti fare così anche con Anna, no? Tu disegnala per come ti viene, disegnala e basta! Non ci ritornare su.”
Antonello scuote la testa mentre stringe il pennarello e la matita nel risponderle.
”Non è una questione d’immagini. È una questione d’idee.”
Tutti i giorni in biblioteca continua a rimaneggiare i disegni, a volte strofinando così tanto la gomma sui fogli da stropicciarli e chiedere scusa per avergli provocato un danno. Sa più di tutti che il particolare, per quanto rimaneggiato, non sarà mai identico alle idee cui s’ispira, lo sa, ma continua, e nel guardare il modo in cui si raccapriccia nel tentare l’impossibile, suscita una dolcezza tale da volersi inginocchiare per contemplare con lui quel bello che ha nella mente e che non sa spiegare. Nuccio, deciso a regalargli per il compleanno un quaderno con una fodera più rigida e con più fogli inanellati, si chiede, nell’immaginarlo a osservare come di sua abitudine i soggetti per un nuovo ritratto, se, in fondo, nel loro contemplare da lontano, gli occhi non siano, tra tutti, i migliori dei sensi, perché esigono distanza, e la distanza è rispetto. Antonello guarda Anna così come lui, mesi prima, in macchina accanto a sua madre, guardava l’orizzonte, con il desiderio di raggiungerlo e la speranza di non raggiungerlo mai, perché, allora, sarebbe stato costretto a fermarsi lì dove non serve tendere più a nulla. Un passo dopo l’altro l’orizzonte si fa più lontano e, con esso, un tratto dopo l’altro, l’idea di bellezza che Antonello ha reso sacra nel corpo di una donna. È per questo, allora, che sua madre non si è mai voluta decidere a modificare il lieto fine, no? È perché Biancaneve, nella fiaba originale, ringrazia per tutta la vita il principe azzurro non per amore, ma per l’egoismo con cui è riuscito a salvarla da quel che nella sua perfezione di stasi si dice Paradiso, ed è, invece, l’Inferno. Come al solito, sua madre aveva cercato di proteggerlo da una verità troppo grande, nei modi in cui adesso lui vorrebbe proteggere Antonello, augurandogli, nel soffio delle candeline, di non raggiungere mai l’orizzonte cui sta aspirando e continuare a desiderarlo per sempre.
Questo è il lieto fine che ha scelto