Ricomincio a fumare per colpa del blog sul Fuorisalone. Coff coff.
Venerdì 7 aprile, penultimo giorno di redazione, di mattina presto, compro un pacchetto di sigarette. Sono stufo di andare a scrocco, quindi ci spendo quattro euro e rotti, per il pacchetto da venti. Lo prendo, lo apro e ci rimango male per questa cosa dei filtri bucati. Dice che così si fuma meno roba chimica. Per me però è roba nuovissima e un po’ deludente. E in più non è che mi torni: il filtro serve proprio a eliminare le sostanze chimiche, no? E voi allora cosa fate, lo bucate? Ma dico, amiche multinazionali del tabacco: fatemelo pagare cinque euro, il pacchetto, ma il filtro datemelo tutto, no?
Chiudo il pacchetto mentre accendo il computer e riparte travolgente il treno delle scadenze, delle richieste e delle pretese. Stress altrui. Stress mio. Stress generalizzato. E sul treno della redazione parte tutto insieme il correre, il saltare dal food all’esistenzialismo scovando i refusi possibilmente prima della pubblicazione, il beccarsi lo sguardo accigliato e i mezzi ‘fanculo del fotografo/filmaker/storyteller che è arrivato troppo tardi o troppo presto e allora con coerenza anarchica dà la colpa a me di non sapere cosa fare. Così per nove ore almeno, più quelle di preparazione a casa, spesso inutili date assenze o turbolenze ma comunque necessarie perché una struttura organizzata, magari non sempre visibile, c’è.
E poi, ovviamente, nel giorni del Fuorisalone a Milano c’è il Fuorisalone. A uscire in strada sulle storie da raccontare ci inciampi, in via Ventura nei giorni del Fuorisalone. E tutti le vogliono raccontare, per fortuna. Ma per sfortuna tutti insieme. Caos. Anarchia. Confusione. Poi uno mi domanda perché ho ricominciato a fumare.
…
Beh, per nostalgia, rispondo.
Nostalgia delle mie prime giornate di redazione, che avevo vent’anni buttati là e ogni cosa mi dicessero la facevo al contrario un po’ per stupidità un po’ per ribellione un po’ per stupidità-di-nuovo. Nostalgia delle notti passate a scrivere articoli che poi avrebbero letto quaranta persone, ma che per me erano importanti più del Vangelo di Giovanni. Nostalgia dei viaggi in metro carico di attrezzature a parlar di socialismo, di capi-redattori disorganizzati e perchénno di figa. Nostalgia di quando lavoravo di giorno e poi lavoravo di notte e in mezzo c’erano le sigarette nella cucina del mio primo appartamento mio (in locazione, ndA) ascoltando Depeche Mode e Afterhours e Korn in cuffia per non svegliare i vicini mentre tenevano sveglio me.
Nostalgia delle galoppate di neuroni così scatenate che alla fine non sapevo più se stavo scrivendo di teatro o della spesa l’indomani.
Sono state belle giornate nostalgiche, quelle passate. Energizzanti. Rinvigorenti. Il tipo di giornate che vent’anni fa le finivo con una sigaretta, appunto. Senza buco nel filtro, la sigaretta, ma insomma anche io ho qualche buco e soprattutto qualche pieno in più, quindi possiam fare pari e patta, amiche multinazionali del tabacco.
Grazie a tutti gli allievi e i professori con cui ho lavorato. Grazie soprattutto a quelli che si sono arrabbiati perché le cose si potevano fare meglio, a quelli che si sono sentiti confusi, a quelli che mi han mandato a Quel-Paese (quello che si chiama Culo) quando ho sbagliato, quando non sono stato sufficientemente pronto, quando mi sono dimenticato di loro. Grazie perché, tra tutti, quelli che più mi han ricordato com’ero a vent’anni siete stati voi.
Grazie per avermi fatto ritornare a quel periodo della mia vita. Grazie per aver realizzato un buon lavoro insieme.
E grazie per le sigarette.